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Il Pesto alla Genovese: storia e tecnica PDF Stampa E-mail
Scritto da MT   

Il simbolo della cucina Genovese ha radici relativamente recenti: fino alla fine del XVIII secolo non c’è infatti traccia del Pesto nelle ricette e l’uso di condire la pasta con questa salsa ha preso campo solo dal 1800 in poi.

La salsa di noci è più antica: l’idea di pestare nel mortaio semi oleosi per ottenere una salsa (dolce o salata) risale al Medioevo ed ha origini orientali. La tecnica di unire al pesto (di pinoli, noci e aglio) la quagliata oppure una fresca ricotta di pecora, discende dall’uso dello yogurt, che era l’ingrediente originale usato sulle sponde del Mar Nero, dove i Genovesi avevano interessi commerciali. E’ noto invece il Battuto all’aglio, in pratica un Pesto senza basilico che veniva usato per condire stoccafisso e patate.

 

 

Per  tutto l’800 e fino alla prima guerra mondiale il Pesto venne considerato un cibo decisamente popolare, adatto ai camalli (facchini del porto), agli operai delle aziende meccaniche e navali. Si trattava infatti di un Pesto più grintoso e rustico dove predominavano l’aglio e il pecorino stagionato.  Si preparava esclusivamente nel mortaio, pestando le foglie di basilico insieme all’aglio, pinoli (e talvolta gherigli di noci spellati o anacardi), al sale grosso, che aveva la funzione di aiutare a sminuzzare il tutto. L’olio di oliva, il parmigiano e il pecorino completavano la salsa.

L’uso di aggiungere verdure (fagiolini, fave, zucchini, patate) durante la cottura di paste fresche o secche è più antico: risale alla fine del 1700. Ad esempio nella riviera di Levante, dove al Pesto viene frequentemente unita la Prescinsœa, le patate e i fagiolini sono praticamente obbligatorie per condire le trofiette di Recco. Il Pesto condisce anche il Minestrone alla Genovese, ma in questo caso deve essere più “forte, maschio e maleducato” come sosteneva il marchese Giuseppe Gavotti, accademico della cucina ligure. Infatti il pesto per il minestrone viene preparato senza pinoli e con più aglio, lasciandolo anche più grossolano. Ora la tecnica: oggi nessuno più usa il mortaio. Il frullatore è più veloce e dà ottimi risultati.

Pesto alla Genovese

Gli ingredienti sono arcinoti:

Basilico della Riviera Ligure, (quello migliore è coltivato in serra e raccolto alla fine dell’inverno: ha foglie piccole e tenere che non diventano scure una volta pestate o frullate. Il basilico primaverile e estivo, coltivato nell’orto, ha un sapore più forte e mentolato e foglie più grandi e rigogliose che tendono a scurire)

olio di oliva, pinoli di Pisa, parmigiano, pecorino stagionato, aglio, sale.

Le differenze più rilevanti nei risultati sono in genere dovute alla qualità e al dosaggio degli ingredienti. La tecnica di preparazione ha tuttavia la sua importanza: un buon pesto si può fare in diversi modi e con diverse dosi, basta seguire poche regole.

Il basilico lavato non deve essere strizzato, ma asciugato delicatamente (la centrifuga per le insalate dà ottimi risultati).

La miscela degli ingredienti non si deve scaldare durante la lavorazione e la macchina usata deve sminuzzare il tutto nel più breve tempo possibile (un frullatore che non taglia o taglia poco, scalda il pesto con l’attrito delle lame e la salsa diventa scura).

Se si usa il cutter  conviene mischiare prima le foglie di basilico con i pinoli, l’aglio tagliato a pezzettini, il formaggio grattugiato e il sale; mettere tutto nel bicchiere, versare quasi tutto l’olio e avviare la macchina per pochi secondi, sufficienti ad avere un pesto fine ed omogeneo. Il resto dell’olio si incorpora alla fine fuori dal cutter.

Con un frullatore tradizionale a bicchiere alto e stretto la tecnica precedente non è utilizzabile perché i coltelli pescano solo sul fondo e per avere un prodotto fine si rischia di scaldare il pesto. Conviene allora frullare prima aglio, pinoli e circa la metà dell’olio in modo da ottenere un fluido utile, con il vortice che forma, a portare le foglie di basilico verso i coltelli in modo abbastanza omogeneo e rapido.

Al limite si può usare anche un tritacarne (purché con disco a fori piccoli e coltelli affilati): si miscelano tutti gli ingredienti tranne l’olio (il formaggio che si attacca alle foglie evita che queste vengano “spremute” dall’elicoide) e si passa una o due volte. L’olio si aggiunge dopo.

 


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